venerdì 23 maggio 2008

FACCE DA B/ AMARO LUCA(NO)


A 39 anni è il “reperto” più antico, in carne ed ossa, risalente all’epoca del grande Parma di Nevio Scala. Quello degli allenamenti in Cittadella davanti a bambini e pensionati, tanto per dirne una. Lo stesso al quale il Nostro Adorato ha affermato di volersi ispirare per la risalita. Sapori lontani. La squadra che arriva allo stadio a piedi, la Nord quasi sempre esaurita in ogni ordine di posto. E un calcio dal passo lento, a misura d'uomo, al ritmo cadenzato delle sgroppate di Di Chiara, degli scatti dinoccolati di Tino Asprilla. In porta, lui. Cresciuto in casa, allevato all’ombra del Battistero. Trova poche chance, all’inizio, e si carica sulle spalle alcuni anni di trafila nelle serie minori. Poi, nel 1993, il debutto. L’anno successivo, grazie a una stagione coi fiocchi, partecipa alla spedizione italiana ai Mondiali statunitensi. Rientrato a casa, vince la coppa Uefa contro l’odiata Signora. In campionato, a inizio '95, nella sfida che allontana da Parma l’aroma suadente dello scudetto, s’immola a salvare la patria durante un’azione d’attacco bianconera: Torricelli gli rovina addosso, con la consueta delicatezza, costringendolo a lasciare il campo. Si rifarà diversi anni dopo, con quel “salame” rivolto alla tribuna del Delle Alpi con il quale è entrato di diritto nel cuore di mezza Italia. Tutto questo per dire che di fronte alla prima stagione deludente, al primo campionato in cui l’età ha cominciato a farsi sentire e i riflessi hanno dato l’impressione di venire meno, a noi non riesce proprio di voltargli le spalle. A Bucci e alla sua storia. Baciata da un ritorno clamoroso a Parma nel 2005, quando nessuno sembrava disposto ad accollarsi le sue tante, troppe “primavere”. Perché dopo quel grave infortunio alla spalla rimediato vestendo la casacca dell’Empoli, il verdetto dell’intelligence calcistica fu unanime: "E' finito". In poco tempo, invece, conquistò i guantoni da titolare, scalzando prima Lupatelli, poi Guardalben e infine l’indimenticabile e indimenticato De Lucia. L’anno scorso è stato decisivo. In questa stagione, al contrario, qualche punto lo abbiamo lasciato per strada anche per colpa sua. Come contro la Sampdoria, a marzo, nell’ultima partita di Di Carlo sulla panchina. Quando su quel pallone vagante, in area di rigore, a 11 minuti dall’inizio del match, pensammo: «Esce, esce. Tranquilli che adesso esce». Non uscì. E per Maggio fu vita facile. O come contro l’Atalanta, sempre al Tardini, un mese prima, all’esordio di Lucarelli, quando su quel tiro beffardo da fuori area di Bellini, un difensore, lui, qualcosa in più avrebbe potuto e dovuto fare. Certo, a ben guardare, è stato quasi sempre Bucci a suonare la sveglia ai compagni, a farsi carico delle responsabilità quando tutto girava storto, a chiamare a rapporto la condotta della squadra più che quella dei fischietti. E, ovviamente, a fungere da esempio. Contro la Lazio, si rivolge all’arbitro per invitarlo a rivedere una sua decisione che non rendeva giustizia alla squadra ospite. Alcuni mugugnano, altri spargono il solito miele d’occasione. Lui: «A volte, essere coerenti può costare un po’ di sacrificio, ma ammettere che si trattava di calcio d’angolo e non di rimessa dal fondo a me è sembrato normale. Non voglio assolutamente essere “beatificato” per un gesto che dovrebbe diventare la normalità, anche perché io continuerò comunque sulla mia strada, dato che credo sia quella giusta». Dopo la disfatta interna contro il Napoli, con 3 giocatori crociati espulsi dallo zelante direttore di gara, è tra i primi ad ammettere che gli avversari «hanno meritato di vincere». Nelle ultime giornate si è eclissato, lasciando il posto a Pavarini. Se n’è andato, speriamo solo per una pennichella di fine campionato, in silenzio. Rispolverando il contegno con cui l’anno scorso celebrò assieme agli altri miracolati la salvezza condotta in porto da Ranieri. Tutti sul pulmann, all’epoca, per le vie del centro. Con Budan scatenato e Cardone a imbastire cori contro Moggi e la Gea. Lui, seduto in prima fila, vicino al conducente, al riparo dalla folla, a guardare la calca adorante dal vetro e firmare le sciarpe che gli passavano i compagni. Un signore. Tra i pochi ad essere gentilmente invitati a presentarsi al prossimo ritiro. Almeno per come la vediamo noi. Ci vediamo a settembre?

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